Oceano, cielo, natura di una bellezza quasi selvaggia ti inondano gli occhi in questo frammento di suolo sperduto in pieno Atlantico che sembra sospeso nel tempo. Due ore di volo da Lisbona e São Miguel, l’isola verde, la più grande dell’arcipelago delle Azzorre, si mostra dal cielo nell’alternanza dei suoli scuri coltivati, dei rilievi vulcanici e della vegetazione spontanea densa e abbagliante. Il primo contatto coi luoghi è a Ponta Delgada, la città principale, specchio della colonizzazione portoghese. Le case bianche di calce del suo centro storico, decorate con pietra scura basaltica, ti fanno capire che sei in un’isola di origine vulcanica, ma i selciati dagli elaborati decori geometrici in pietra bianca alternata a quella nera ti ricordano che il modello urbano di riferimento sono le avenidas di Lisbona. In pieno centro spicca il Palácio de Sant’Ana, villa ottocentesca in stile neoclassico circondata da un giardino storico, residenza ufficiale del governo delle Azzorre.

Cerco paesaggi e la mia prima meta è la Lagoa das Sete Cidades. Mi spingo fino all’estremità ovest dell’isola dove raggiungo una caldera cioè una conca dalle pareti scoscese sorprendente per i colori accesi della vegetazione. Una quinta quasi circolare di boschi accoglie le acque di piccoli bacini vulcanici, ma l’impatto visivo più marcato viene dai laghi Verde e Blu, separati dalla sottile linea di una strada. La flora qui è rigogliosa, specie in primavera, quando le fioriture di azalee e di ortensie punteggiano le sponde.

L’oceano avvolge, circonda, ritorna all’orizzonte quando la strada risale dopo ogni discesa, entra in tutte le inquadrature e voglio vederlo da vicino, là dove la costa si abbassa, nelle spiaggie profonde di sabbia scurissima di Santa Barbara a Ribeira Grande, cittadina marittima a nord del’isola e anche qui mi noto che le architetture bianche si stagliano meglio contro il cielo grazie agli inserti di pietra vulcanica.

L’acqua in tutte le sue manifestazioni domina l’isola e quella termale ne costituisce la linfa. Nel cuore più verde di São Miguel, tra i boschi di Ribeira Grande, trovo la Caldeira Velha, posto incantevole, piscina termale naturale alimentata da una cascata in cui è possibile rilassarsi e curarsi, oltre che per i benefici delle acque, ammirando la bellezza delle felci arboree, che trionfano nell’elevata umidità del microclima. Le spa sono numerose e all’estremo sud-ovest dell’isola, a Ponta da Ferraria, ne trovo una in riva all’oceano, all’interno di un parco naturale che tutela un paesaggio lunare fatto di rocce originate dall’esplosione seguita al contatto della lava con l’acqua salata.

A Furnas, nella parte opposta dell’isola, raggiungo le terme Poça da Dona Beija, giardini pensili acquatici in forma di vasche in pietra incastonate nella flora locale. Nello stesso distretto visito il Centro de Monitorização e Investigação da Lagoa das Furnas, un edificio contemporaneo ben inserito nella natura. Scopro che questa architettura monolitica in pietra locale ha vinto alcuni premi internazionali e che serve a diffondere attraverso strumenti multimediali la conoscenza di questi paesaggi. In riva alla laguna sorge anche il Mata – Jardim José do Canto, famoso per la collezione di camelie antiche e il cottage anglo-fiammingo.

Ma la spa più straordinaria è quella realizzata – sempre nella regione di Furnas – sfruttando la preesistenza del giardino botanico Terra Nostra. Da oltre due secoli, quando si scoprirono le doti benefiche delle acque termali che sgorgavano in questa conca rigogliosa, qui sono stati creati dei giardini. Il luogo è il sogno avverato diThomas Hickling, arrivato da Boston a São Miguel nel 1770. Diventato console onorario, acquistò una proprietà di due ettari e vi costruì una casa di vacanze davanti a una piscina naturale di acqua ferruginosa con un’isola al centro e circondò tutto con una piantagione di alberi portati dal Nord America. A metà Ottocento la tenuta passò al Visconde da Praia che sostituì il cottage di Hickling con una nuova costruzione e insieme alla moglie esperta giardiniera creò un parco ricco d’acqua e di fioriture. A fine secolo il giardiniere inglese Milton inserì un piccolo fiume sinuoso e alcune grotte. Il viale di palme australiane (Arcontophoenix cunninganmiana) che conduce al memoriale dei visconti segnò la trasformazione di Terra Nostra in un giardino di acclimatazione.

La seconda metà del XIX secolo fu ovunque momento di massima sperimentazione botanica e i giardinieri António Borges, José do Canto and José Jácome Correia fecero a gara per introdurre collezioni rare di specie arboree, arbustive e di fiori dalla Nuova Zelanda, Sud Africa, Cina e Nord America. Terra Nostra ha ora una varietà enorme di specie botaniche e un’esplosione di colori la attraversa durante tutte le stagioni su un sottofondo continuo di felci arboree. È difficile scegliere cosa citare tra gli esemplari della specie Metrosideros,con una fioritura rossa intensa e leggera, l’imponenza delle araucarie, l’eleganza di conifere acquatiche come il Taxodium ascendens e il Taxodium distichum. Il sottobosco è fatto di fiori per terreni umidi come le calle e le clivie. Una collezione di Bromeliaceae è ospitata tra le radici contorte di una Ocotea foetens. Ci sono circa 300 specie di felci e 85 specie di Cycadaceae. Qui i rododendri, le azalee, le ortensie, arbusti che amano i suoli acidi, colonizzano ogni pendio. Le specie e le cultivar di camelie da fiore (Camellia japonica), diffusissime a São Miguel, sono circa 600. Ma mi interessa sapere quanto si sia ambientata qui la Camellia sinensis, la pianta del tè, e mi dirigo verso l’entroterra della costa nord a visitare le Plantações de Chá Gorreana, la più antica in Europa. Dalla seconda metà dell’Ottocento, dopo l’arrivo di due esperti cinesi, la coltivazione si è mantenuta biologica per ottenere un tè di alta qualità grazie al clima e al terreno ricco in minerali. Il paesaggio di questa piantagione, come di quella più recente di Porto Formoso, è fatto di filari a perdita d’occhio di arbusti verdissimi che corrono lungo le colline fino alle scogliere dell’oceano.

Faccio base a Ponta Delgada e trovo la sua anima più autentica nel Mercado di Santa Ana, dove rivedo facce segnate dal sole e dal vento, coppole, fisionomie mediterranee. I ritmi sono antichi, c’è chi viene per vendere e acquistare animali, per esporre ortaggi coltivati nell’orto e i banchi del pesce si contendono lo spazio con l’ananas di cui l’isola è unica produttrice europea. Incuriosita, visito le estufas, le serre di vetro in cui crescono i frutti fin da quando nell’Ottocento la bromeliacea brasiliana fu introdotta nell’isola.

Al momento di congedarmi da São Miguel la voglio osservare dai miradouros, i punti panoramici più belli. Il cammino mi è ormai familiare, tra mucche che passano indisturbate sulle strade per raggiungere i loro pascoli a picco sul mare e incontri con gente che si occupa della manutenzione delle strade, ornate di azzurri Agapanthus. Incomincio dal Miradouro da Lagoa do Fogo, che guarda su un bacino vulcanico nell’entroterra di boschi selvaggi; poi passo alla costa, a nord, sono al Miradouro de Santa Iria e termino in quello da Ponta do Escalvado. I paesaggi sono aerei, praterie verde smeraldo che si interrompono su scogliere sulle cui rocce scure l’oceano s’infrange schiumante. Il momento è fissato per sempre nella memoria: ora so che in un angolo d’Europa è rimasto un frammento di giardino dell’Eden.

Fulvia Grandizio

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